lunedì 16 maggio 2011

SALONE DEL LIBRO 2011: UN ALTRO SUCCESSO


Nonostante passino gli anni, il fascino del Salone del Libro di Torino resta immutato al punto che anche quest'anno non ho resistito e sabato 14 maggio gli ho fatto visita. Nel 2011, tra l'altro, il Salone è stato arricchito per celebrare il 150° anniversario dell'Unità d'Italia e a tal proposito, nel Salone Oval, che ha ospitato le gare di pattinaggio di Torino 2006, è stata allestita la mostra 1861-2011. L'Italia dei Libri, nata da un’idea di Rolando Picchioni e prodotta dalla Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura con la partecipazione di Telecom Italia e realizzata con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Comitato Italia 150.

Racconta centocinquant’anni di storia attraverso la lente del libro e per farlo invita il lettore a percorrere una spirale in cui si intrecciano cinque temi ovvero cinque percorsi di visita: i 150 Grandi Libri, i 15 SuperLibri, i 15 Personaggi, gli Editori, i Fenomeni Editoriali. Attraverso schede, fotografie, giudizi critici, curiosità, volumi originali, oggetti-simbolo (come la bicicletta di Don Camillo qui a destra), volti e voci dei protagonisti (come Pinocchio, a sinistra) in rari documenti d’archivio, il visitatore compie un salto fino agli albori della storia italiana, ritrovando opere, talore poche note, ma capaci di imprimere una svolta, un cambio di passo, opere che hanno trasformato il nostro Paese. La nota curiosa che mi preme sottolineare riguarda un letterato conterraneo. Il primo pannello, quello del 1862, è dedicato a Paolo Giacometti, nato nel 1816 a Novi Ligure e morto nel 1882 a Gazzuolo (Mantova). L'opera presentata è La morte civile, che viene così descritta.
Rappresentato per la prima volta a Fermo nel 1861, portato in scena da alcuni dei maggiori attori italiani tra Otto e Novecento (da Ernesto Rossi a Tommaso Salvini, da Ermete Zacconi a Giovanni Grasso), apprezzato da Emile Zola e Benedetto Croce, il dramma La morte civile sollevò polemiche e discussioni per la tesi anticlericale e anticonciliare che ne sostiene la trama: la necessità di derogare all'indissolubilità del matrimonio religioso in caso di condanna irreversibile ("la morte civile" appunto) di uno dei due coniugi. Un tema di straordinaria modernità che Giacometti affronta, traendo ispirazione dalle proprie personali vicende sentimentali, già negli immediati dintorni dell'Unità d'Italia.




Per quanto concerne gli incontri che ho seguito, ho trovato molto interessante l'incontro delle 10,30 in Sala Azzurra dal titolo Solo 150 anni. All'origine dell'identità italiana, che sta a significare, come ricordato dall'editore Laterza che lo ha introdotto, che "la storia italiana affonda le proprie radici ancor prima del 1861". Hanno preso parte a questo incontro Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Tullio De Mauro e Massimo Montanari, introdotti da Carmela Palumbo, direttore generale del MIUR. A moderare l'incontro è stato Luigi La Spina, secondo il quale il discorso sull'identità è stato presente da noi per moltissimo tempo, più che in altri Paesi, ma spesso sono stati confusi i termini "identità" e "costume". Secondo Barbero, il discorso sull'identità non è stato più presente in Italia che in altri Paesi: la peculiarità va, semmai, ricercata nei continui lamenti di chi afferma che "l'identità è recentissima" oppure "l'identità non esiste"; a dimostrazione che ciò non è vero, Barbero cita un aneddoto su Garibaldi riguardo un suo soggiorno a Costantinopoli, che lo porta a concludere che "le affermazioni dell'esistenza degli Italiani sono avvenute spesso all'estero". Luciano Canfora, attraverso richiami storici a Garibaldi e Mazzini e alla Costituzione della Repubblica Romana del 1849, che l'identità è sempre stata presente e ha funzionato come "motore della storia": proprio grazie ad essa, conclude Canfora, nell'epoca fascista "il Paese ha saputo ribellarsi in maniera unita". Piuttosto, vale la pena ricordarci, sottolinea lo storico pugliese, il ruolo che la Chiesa ha sempre avuto nel remare contro l'unità d'Italia ("basti ricordare il non expedit, per esempio"). Tullio De Mauro inizia ricordando la celebre frase di Metternich pronunciata nel corso dei lavori del Congresso di Vienna ("La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle") e ripresa nel 1847 e nell'anno successivo dal quotidiano napoletano Il Nazionale, in senso più dispregiativo: "L'Italia non è che un'espressione geografica", frase che, ovviamente, fece infuriare non poco i Napoletani. Proprio partendo dalla frase di Metternich, De Mauro ci spiega quanto "singolare" sia questa espressione geografica: "nessun Paese europeo ha un nome che porta stabilmente da millenni" e tale nome è uguale "in tutte le lingue europee anche quando noi non la chiamavamo così (l'Italia, ndr)". Lo stesso discorso non si può applicare all'aggettivo "italiano": lo stesso Dante era in difficoltà e si interrogava se utilizzare l'aggettivo "itali", "italy" o addirittura "latini". A proposito di Dante, il professor De Mauro apre una parentesi: "Dante non è il padre della lingua italiana, semmai il figlio", dal momento che a partire dal 1525, quando si discuteva quale lingua utilizzare al posto del latino, è stata scelta la lingua usata da Dante, Petrarca e Boccaccio, che da allora fu, per l'appunto, lingua italiana. Massimo Montanari ricerca l'identità italiana proponendo alcuni simpatici aneddoti culinari. Per esempio, Luigi Bicchierai, in arte Pennino, di mestiere oste alla Locanda di Ponte a Signa, in Toscana, dal 1812 al 1873, immaginava l'Italia "come un bollito misto" a significare che, pur nella diversità, com'è tipico del bollito misto, si può essere uniti. Oppure Ortensio Lando, medico milanese, provava a spiegare il nostro Paese ad un viaggiatore aramaico suggerendogli un viaggio culinario per l'Italia: la cosa "mostruosa" è che Lando parla di Italia, pur se questa non esisteva, sottolineandone "l'identità multipla". Montanari ci ricorda che, in fondo, "l'Italia è un collage o, meglio, una rete di realtà locali", in virtù delle quali esiste dal momento che storicamente vi sono stati "rapporti di condivisione tra i vari popoli": "condivisione e circolazione delle identità locali: è così che è nata l'Italia". L'aspetto interessante, sottolineato da Montanari in chiusura, è il seguente: "la cosa strana è che l'Italia è stata fatta dal popolo meno italiano, i Piemontesi", giunti tardi nella "rete italiana" tanto che "Lando non cita nessuna ricetta piemontese"; a questa annotazione, risponde Barbero, ricordando che la storia del Piemonte è certamente italiana, sebbene sia sempre rimasta ai margini.
Cambiando del tutto argomento, nella Sala Rossa, alle 13,30, ho preso parte all'incontro Dossier Vaticano, alla presenza di Bruno Ballardini, Sandro Provvisionato, Ferdinando Imposimato e Ferruccio Pinotti, moderati da Riccardo Chiaberge. Proprio Chiaberge introduce l'incontro, chiarendone il fine ovvero la messa a fuoco degli "scricchiolii di un'istituzione in crisi, nonostante l'enorme espansione mediatica". Ballardini, da esperto di marketing, afferma duramente che attualmente "la Chiesa è un'istituzione in crisi di governance": come si può spiegarla, visto che da sempre la stessa ha usato tutte le leve del marketing per espandersi? Il suo libro si propone, per l'appunto, di chiarire quali sono stati i punti di forza, tra cui certamente non si può dimenticare una dottrina millenaria, e i punti di debolezza. Il giudice Imposimato e Provvisionato ripercorrono i punti principali del loro libro Attentato al Papa, che si muove tra vari fatti controversi verificatisi dopo il 13 maggio 1981: innanzitutto il mistero Ali Agca, che fino al 1982 non parla, la scomparsa di Emanuela Orlandi e la strage delle guardie svizzere, tutti legati da un filo rosso. Pinotti, invece, sposta l'attenzione, così come fa il suo libro Wojtyla segreto scritto con il collega Giacomo Galeazzi, vaticanista de La Stampa, sulla persona di Giovanni Paolo II, "figura controversa, circondata da una verità complessa", una "figura sfaccettata" capace di porsi "in maniera dialogica" col regime comunista e al tempo stesso di ordinare segretamente sacerdoti. Nel suo obiettivo di lotta decisa al comunismo, si serve di qualsiasi mezzo: prende contatti e intesse rapporti stretti col banchiere Calvi, piazza Marcinkus in un posto strategico all'interno dello IOR, fa a pezzi la Teologia della Liberazione e apre la porta a movimenti integralisti come Opus Dei, Comunione e Liberazione e focolarini. E proprio da qui che, secondo Ballardini, dalla "troppa autonomia alle associazioni di culto" che la Chiesa ha iniziato ad entrare in crisi: tali associazioni sono "vere chiese nella Chiesa, sono piccole multinazionali", che distribuiscono "cristianesimi diversi tra loro" e quindi in concorrenza. In ragione della presenza di tale situazione, continua Ballardini, "Ratzinger è un papa sbagliato" ovvero "quanto di più lontano potesse servire alla Chiesa" in questo momento. Al contrario, secondo Ballardini "bisognerebbe smontare i dogmi, separare gli affari dall'evangelizzazione, da differenziare rispetto al proselitismo (come capita sulla riviera adriatica), bisogna semplificare la dottrina, bisogna ritornare alla Chiesa maestra di spiritualità". Conclude poi con una proposta shock: "Occorre un Concilio Vaticano III, aperto a tutti e con i mezzi odierni, possiamo dire un Concilio Vaticano 3.0": "se sono capaci bene, sennò, come dice Kueng, sono destinati a morire".
Alle 15,30, nella Sala Oval, ho finalmente assistito ad uno spettacolo di cui ho sentito molto parlare: Viva l'Italia!, di e con Aldo Cazzullo; lo spettacolo nasce direttamente dall'ultimo libro del giornalista ed è portato in scena dal teatro Stabile di Verona di Paolo Valerio: due attori che recitano brani di testi citati nel libro, Cazzullo che nelle pagine del libro ripercorre la storia d'Italia dal Risorgimento alla Resistenza, mentre una pianista accompagna il tutto in sottofondo. Qui sotto vi mostro alcuni estratti dello spettacolo.




In conclusione, l'edizione del 2011 si è confermata un'edizione molto ben riuscita: sicuramente il Salone Oval ha aggiunto qualcosa ad un Salone di buon livello, l'idea di dedicare un intero padiglione all'Italia e all'anniversario della sua unità è risultata vincente oltre che interessante e capace di far viaggiare il visitatore in alcuni minuti in 150 anni di letteratura di alto livello. Secondo le indiscrezioni, anche i numeri confermano il successo: la soglia dei 300 mila visitatori è stata oltrepassata anche quest’anno. Lo stesso patron Rolando Picchioni spiegava: "Dopo tutti questi eventi, dagli alpini al Giro, pensavo che i torinesi non avessero più voglia di un bagno di folla: e invece è stato vero il contrario. La gran prova dell’Oval è stata superata: il prossimo anno, in attesa del IV padiglione, si replicherà".

2 commenti:

  1. PIù che un commento, una domanda: in che senso Dante sarebbe "figlio" della lingua italiana? Grazie dell'eventuale chiarimento, G.B.

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  2. Ti confesso che quando il professor Tullio De Mauro ha fatto l'affermazione riguardo la quale chiedi spiegazioni sono rimasto perplesso e poco convinto. Ho provato a seguire la sua argomentazione, che è quella riportata, ma le cose non mi sono del tutto chiare. Potrei azzardare una spiegazione: De Mauro considera Dante "figlio della lingua italiana" dal momento che il dialetto toscano, di cui il poeta si è servito nelle sue opere, preesisteva e con lui ha raggiunto livelli molti alti, così come pure Petrarca e Boccaccio hanno contribuito a farne una lingua più raffinata e più ricca. Quando, nel '500, si è sostituito il latino, si è trovato in quel dialetto toscano nobilitato da Dante la lingua degna di diventare la lingua italiana. Tuttavia, pure questa motivazione non credo sia esaustiva.

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