domenica 27 giugno 2010

SCRIBO ERGO SUM: LE PAROLE TRA CARTA E WEB


GIARDINO PALAZZO SPINOLA, ARQUATA SCRIVIA
GIOVEDI' 1° LUGLIO 2010 ORE 21,00

Interverranno:

Patrizia Ferrando
Franca Barzizza
Aldo Bonaventura


Nella splendida cornice del Giardino di Palazzo Spinola, ad Arquata Scrivia, giovedì 1° luglio 2010, a partire dalle 21, Patrizia Ferrando, Franca Barzizza (autrice di Qualcosa è cambiato) ed io discutiamo di scrittura.
Il titolo della serata non è stato scelto a casa, ma racchiude tutto ciò che gravita intorno alla scrittura. A partire dalle parole che nel corso degli ultimi trent'anni hanno subito numerosi cambiamenti: ormai sono entrati nell'uso comune parole di lingue straniere o da esse derivanti e poi adattate, neologismi tratti dagli ambiti più disparati, parole gergali hanno trovato un loro posto nel dizionario. Da qui partirei, infatti, per affrontare il vasto argomento della scrittura: come sono cambiate le parole? Com'è cambiato il loro significato? Per fare questo ci faremo aiutare da Franca Barzizza, che da poco ha pubblicato Qualcosa è cambiato, un viaggio in parallelo tra anni '80 e anni '00 nel quale scandaglia ogni istante della vita dei protagonisti per metterne in risalto i cambiamenti occorsi in trent'anni di vita.
Passando dall'analisi delle parole, ci addentreremo ancor più nel tema per svelare il significato del titolo della serata: Scribo ergo sum. Le parole di ieri e di oggi vengono usate per scrivere: se scrivo, vuol dire che ci sono, che esisto e che posso comunicare informazioni. Ma come possiamo scrivere? Se siamo tradizionalisti o nostalgici del passato - a seconda dei punti di vista - ci terremo stretta stretta la carta: ci piace tenere la biro in mano, "scrollarla" per fare uscire le parole che meglio rappresentano ciò che vogliamo esprimere, sentire il rumore della penna a contatto col foglio, leggere le parole ed analizzarne le forme per desumere emozioni e stati d'animo, tirare righe sugli errori o sulle parti che non ci convincono. Se vogliamo stare al passo coi tempi, potremmo sederci dinanzi al nostro computer e "pigiare" i tasti, vedendo subito apparire sullo schermo le parole e potendo correggere eventuali errori senza lasciar segni. Siamo più da libri classici da sfogliare e da riporre con maniacale attenzione nella libreria, al riparo da qualsiasi intemperia, o da libri elettronici (e-books) immediatamente fruibili sempre e dovunque? Preferiamo sfogliare il nostro quotidiano preferito sentendo il classico rumore delle pagine che si stropicciano e compiendo talora imprese titaniche per non spiegazzarlo o preferiamo digitare su un browser l'indirizzo web dello stesso quotidiano e sfogliarlo col mouse? Scrivere oggi vuol dire anche confrontarsi con sms, e-mails, Facebook, Messenger, Twitter e quant'altro: come ci poniamo dinanzi a questi nuovi mondi? Come e cosa scriviamo?

Come potete vedere, inoltrarsi nella foresta della scrittura significa entrare in un mondo senza limiti e con mille sentieri, un mondo in continuo cambiamento in grado di mantenere tuttavia un legame col passato pur adeguandosi alle mutazioni della nuova era che avanza. Questi e tanti altri spunti ci guideranno alla scoperta del magico mondo della scrittura.

venerdì 25 giugno 2010

SENZA APPELLO


Il giorno dopo la clamorosa sconfitta non si parla d'altro. A ragione. In un Paese in cui il calcio è una vera e propria religione, il crollo di ieri a Johannesburg contro la Slovacchia è stato un terremoto per i tifosi italiani. Certamente prevedibile con un discreto anticipo, viste le prime due partite, ma a cui si cercava di non pensare, consci che la terza partita avrebbe suonato la carica per rimettere in bolla un Mondiale partito storto. E invece no: nonostante i pronostici beneauguranti della vigilia, l'Italia di Lippi gioca male, perde e fa le valigie per tornare a casa. Con la coda tra le gambe, carica di vergogna, seriamente umiliata da una squadra che per la prima volta giocava un Mondiale. Si potrebbe dire: "la fortuna dei principianti"; ma qui, di fortuna, non ce n'è stata, c'era solo bel gioco e ottima disposizione in campo, coraggio e grinta nel mordere le caviglie degli azzurri, gli Slovacchi erano su tutti i palloni e giocavano a calcio, collezionavano azioni di buona fattura e pressavano in maniera asfissiante sul portatore di palla. L'Italia, invece, pareva essere scesa in campo con molta carica, o almeno così pareva durante l'inno. Ma questa presunta carica deve essersi esaurita nei pochi secondi tra la fine dell'inno e il calcio d'inizio: da quel momento sull'Ellis Park, per l'Italia, è calata una bruma, sempre più fitta, che ha annebbiato le menti di tutti i giocatori, anche di quelli - si legga: Zambrotta, De Rossi, Montolivo - che nelle due partite precedenti erano brillati per la qualità messa in campo.
I commenti che possiamo fare e che sono già stati fatti sono tantissimi: ognuno ha la sua ricetta magica per risolvere i problemi, ognuno pensa di poter essere il miglior ct della Nazionale, ognuno si infervora quando qualcosa non va perché egli avrebbe fatto in maniera diversa. Tuttavia, se molte delle critiche convergono su Lippi nell'individuare l'indiziato speciale, non credo si sbaglino. E a conferma di questo, su tutti i giornali e su tutti i siti web, campeggia l'affermazione netta e pesante: "La colpa è mia". Certamente fa onore a Lippi il fatto di essersi assunto subito la responsabilità per tutto quanto è successo e non poteva che comportarsi così: è chiaro che è da lui che è mancato qualcosa da comunicare ai ragazzi, sono suoi molti errori di gestione dei giocatori. Improvvisare Marchisio trequartista, per esempio, è stato un errore difficile da perdonargli; aver lasciato a lungo Quagliarella in panchina, vista la condizione fisica mostrata ieri nel secondo tempo, ha pesato; aver lasciato a casa Cassano è, tra tutte, forse la colpa più grande: volendo privilegiare la coesione del gruppo, ha deciso di privarsi di un giocatore capace di illuminare gli attaccanti, in grado di regalare palloni magici per le punte, abile nel creare gioco in mezzo al campo e contemporaneamente in grado, quando fosse servito, di saltare l'uomo e provare la giocata. Faceva specie vedere Cassano in abito da sposo anziché in calzoncini e maglietta azzurri nel momento in cui la Nazionale, sotto quel punto di vista, ha mostrato un grosso limite: se la paura di Lippi era quella che il giocatore barese avrebbe destabilizzato l'ambiente, credo questa fosse una paura infondata e comunque in ogni caso largamente arginabile, vista la bontà del gruppo. Da domani ripenseremo alla nuova Nazionale, toccherà a Prandelli ripartire da zero, da una Nazionale smantellata sia per limiti di età sia per limiti di capacità: una condizione ideale nella quale poter metter su una squadra competitiva a caccia della qualificazione per l'Europeo.
Postilla finale: la Lega è stata indegna quando ha tifato contro l'Italia nella prima partita col Paraguay; ancora più indegna è stata la frase di Bossi riguardo la partita di ieri: "Tanto la comprano" (e meno male che l'abbiamo comprata... o forse abbiamo perso per dimostrare al Senatur che non l'abbiamo comprata?!) Sicuramente non fuori luogo l'affermazione del ministro Calderoli: via gli stranieri dal campionato. Perché, se dobbiamo trovare un motivo nella pessima figura rimediata in Sudafrica (ultimi del girone, a due punti, senza neanche una vittoria), quello sicuramente sta nella pochezza del nostro gruppo: giocatori discreti, nessuna stella, alcuni senatori del 2006 e pochi giovani - che hanno peraltro ben figurato nel complesso. Ci manca quell'ampia gamma di scelta che le nazionali sudamericane hanno: se pensiamo alla quantità di giocatori brasiliani, argentini, uruguaiani - per fare alcuni esempi - e la paragoniamo al numero di giocatori su cui Lippi poteva scegliere ci accorgiamo, al di là di alcune testardaggini del tecnico viareggino che tali si sono dimostrate, che quelle nazionali hanno un vasto numero di atleti da cui attingere, tra i quali ci sono giocatori mediocri, giocatori di media bravura e alcune stelle, Messi tra tutte. Se guardiamo in casa nostra, abbiamo una Juve ormai irriconoscibile e che non fornisce più i giocatori di una volta alla Nazionale; un'Inter che, nonostante il tris di titoli, è costruita esclusivamente su stranieri (bravi nelle loro nazionali, ma inutili per la nostra); una Roma e un Milan che navigano a vista. Imponiamo un tetto massimo di cinque giocatori stranieri, tra comunitari ed extracomunitari, per ogni squadra e puntiamo sui nostri vivai, che - lo sappiamo bene - vantano dei signori giocatori, a cui serve solo più fiducia e più spazio.
E poi, se pensiamo all'età media di molte nazionali che stanno facendo bene, ci accorgiamo che questa è molto bassa: la voglia di far bene e la freschezza fisica dei giovani sono due armi troppo importanti che non si possono non spendere in un Mondiale.
Ecco da dove dobbiamo ripartire: meno stranieri nel nostro campionato per far largo ai nostri giovani, bravi e volenterosi, per poter creare un ciclo e regalarci la gioia di poter competere alla pari, o quasi alla pari, con Argentina e Brasile.

martedì 15 giugno 2010

INIZIA CON UN PAREGGIO L'AVVENTURA SUDAFRICANA

E' iniziata ufficialmente ieri per gli azzurri l'avventura mondiale in Sudafrica al cospetto di un Paraguay che si è mostrato solido e arcigno. Un pareggio con una rete per parte, Alcaraz e De Rossi, ha concluso un match che è sempre stato fatto dall'Italia, con il Paraguay che fino all'azione del gol non aveva tirato in porta e poche volte lo ha fatto nel secondo tempo. Un'Italia che ha macinato gioco soprattutto a centrocampo, dove un Montolivo partito in sordina è andato crescendo e inserendosi perfettamente nei meccanismi del centrocampo, dettando i tempi ai compagni, accompagnato da un De Rossi che ha raccolto una miriade di palloni; Marchisio è apparso per niente a suo agio dietro le punte, non è quella la sua posizione: si è sacrificato ma ha combinato poco e niente, mentre Pepe è apparso scatenato sulla fascia, talora troppa frenesia non gli ha permesso di ragionare e lo ha portato ad errori evitabili. La difesa si è comportata bene, con un Cannavaro in gran spolvero che non ha sbagliato praticamente nulla assistito da un Chiellini all'esordio nel Mondiale, il quale ha disputato una buona gara con qualche piccola sbavatura. Buona pure la prestazione degli esterni di difesa, con Zambrotta infaticabile sulla sua fascia dove ha scavato un colpo facendosi trovare sempre pronto per la sovrapposizione e Criscito che, pur essendo alla sua prima esperienza mondiale, ha fatto il suo senza problemi e con grande personalità, proponendosi spesso sulla fascia sinistra. In avanti pessima prova di Gilardino e Iaquinta, apparsi poco lucidi e per nulla incisivi davanti alla porta. Senz'altro il reparto da rivedere è l'attacco, dove l'innesto di Di Natale a poco dal termine ha dato più brio e vivacità all'azione; Gilardino appare lontano dalla forma migliore e Iaquinta ha fatto poco per risultare incisivo. Magari contro la Nuova Zelanda verrà buttato nella mischia Pazzini...
Comunque, qualche dato positivo c'è: anche rispetto all'esordio nel 2006, la Nazionale mi è apparsa molto più motivata, grintosa, carica, vogliosa di fare la partita e costruire gioco; la finalizzazione non è stata all'altezza e perciò bisogna lavorare: il pareggio di oggi tra Nuova Zelanda e Slovacchia ci aiuta, ma contro i neozelandesi non dobbiamo fallire, l'unico obiettivo è la vittoria. Forza Ragazzi!

POVERA ITALIA!

Sono cominciati i Mondiali ed inevitabilmente sono iniziate anche le polemiche più o meno accese che tengono viva l'attenzione su questo evento e che ci permettono di poter discutere quando non ci sono molti argomenti all'ordine del giorno. La polemica più accesa è quella delle ultime ore che riguarda Radio Padania: ieri sera, al gol siglato dal centrale di difesa Alcaraz, alla radio della Lega Nord si è esultato per il vantaggio del Paraguay a scapito dei nostri azzurri. Ora mi domando: per quale dannato motivo a Radio Padania si è esultato per il gol del Paraguay? C'era qualche scommessa in ballo (nel qual caso si può anche cercare di capire l'esultanza)? O, più probabilmente, siamo di fronte ad un gruppo, discretamente nutrito, di tifosi esagitati che, in nome della Padania, pensano di poter metter i piedi in testa alla nazione italiana? Perché - si badi bene - il gesto è gravissimo non tanto per il mancato dispiacere per il momentaneo svantaggio dell'Italia quanto per il comportamento che denota: una totale mancanza di rispetto per il proprio Stato e per la gente che lo abita - checché ne dicano i leghisti, abitano il suolo italiano. Certamente i leghisti non sono nuovi a simili comportamenti: come potersi dimenticare le frasi di Bossi, per cui è stato condannato per il reato di vilipendio alla bandiera italiana, "Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo" e "Il tricolore lo metta al cesso, signora"? Da ultimo ci ha pensato il presidente Zaia che, in occasione di una cerimonia nel Trevigiano, ha deciso di far sentire prima il Va' pensiero, seguito dall'inno di Mameli: un gesto che può apparire piccolo e innocuo, ma che mostra come, con piccole picconate, si vogliono lanciare segnali forti.
Tutto si può sentire, si può parlare di Padania e secessionismo (per lo più a parole, visto che i fatti che scarseggiano), ma sempre nel rispetto della propria nazione, che è e rimarrà l'Italia, la nostra Penisola bagnata da tre mari e attraversata dalle Alpi e dagli Appennini. Si tratta di un valore-base, che dovrebbe appartenere ad ogni cittadino, che in altri Paesi è fortemente sviluppato, talora troppo, e che da noi è latente o molto debole. Ricordo che il settennato del presidente Ciampi aveva molto insistito su tutto ciò che è ascrivibile all'Italia e al tricolore: vale la pena conservare quegli insegnamenti e farne tesoro per far fronte a queste presunte spinte secessioniste che vogliono cercare di scalfire la nostra nazione.

lunedì 7 giugno 2010

UNA STORIA D'ALTRI TEMPI

Complimenti a Cesare Fiumi! Ha scovato una di quelle storie che oggi è difficile leggere, una di quelle storie che forse sentivamo raccontare dai nostri papà o dai nostri nonni, una di quelle storie che ci ricordano altri tempi, tempi lontani e che forse non ritorneranno. In un calcio sempre più votato allo spettacolo e al business - e non è un modo di dire, è la cruda e amara realtà, basta dare un occhio ai Mondiali che a breve inizieranno - fa piacere leggere storie di un calcio ancora attaccato ai valori dello sport pulito e leale, dell'attaccamento ad una squadra in quanto gruppo di persone e baluardo di una comunità.
E' la storia di Marco Mulas, custode dello stadio del Romangia Sorso, vicino Sassari, che per un giorno torna giocatore e dalla panchina passa al campo, segnando un gol importantissimo per la sua squadra.




IL GOL PIÙ BELLO DELL'ULTIMA DOMENICA
L'ha realizzato, in Prima Categoria, il custode dello stadio del Romangia Sorso: Marco, giocatore mancato, è invitato a cambiarsi per far numero in panchina, ma poi entra e segna. Quando "calcio nel sangue" vuol dire passione e non coltelli

Anche per Marco era l'ultima di campionato. E quel che sarebbe accaduto non stava nei suoi pensieri, non poteva trovarvi posto. Anche perché il posto di Marco, il suo ruolo, non prevedeva un finale così. No, non di Marco Materazzi stiamo parlando. E neppure di Marco Motta, versante giallorosso della volata-scudetto. Di Marco Mulas, invece: protagonista di una storia pallonara che sta al calcio d'oggi come una licenza poetica, una boccata d'aria, un sorso d'acqua fresca. Un Sorso con tanto di maiuscola, ché è qui, in questo paesone a un passo da Sassari, che è ambientata. Marco Mulas ha trent'anni e il calcio nel sangue, anche se il pallone non l'ha ricambiato: il talento - come succede a tanti, quasi tutti - lo ha dribblato quando aveva vent'anni e l'ha lasciato sul posto. Quello che occupa ancora oggi, da tesserato finito a controllare tessere e riassettare tribune: da nove anni custode dei due stadi di Sorso (il Madau e il Piramide), erede del mestiere di papà.
Calcio&sangue, di questi tempi, non è certo gemellaggio passionale: solo la voce di bilancio domenicale di risse e lame, che se ne infischiano di Daspo e denunce, mordendo ai polpacci un mondo in fuga dalle proprie certezze e responsabilità, ma pronto a ricevere ultra di altra squadra in visita diplomatica e poi ad anticipare partite, a chiuderne al pubblico altre, a minacciarne la sospensione, fino a presidiare autogrill e caselli - è quanto accaduto nelle sole ultime due giornate - per limitare incroci di squadrismi&coltelli.
Invece, il calcio nel sangue di Marco Mulas era, è, passione sincera, sfogata sui campi di calcetto alla sera e in qualche sfida alla buona per tener caldi i piedi da attaccante e l'attaccamento al pallone. E pure il ricordo di quando stava nelle giovanili, prima di accomodarsi in tribuna a guardare gli altri giocare.
Un fare distinto, gli occhiali a dargli un certo piglio, Marco Mulas prende 400 euro al mese per aprire e chiudere il campo nei giorni dell'allenamento e predisporre lo spogliatoio prima della partita, sistemando le maglie della Romangia Sorso e preparando il tè caldo. Una garanzia, quel giovin custode, tanto che, dopo la promozione nel 2008, sul sito del club ce n'era anche per lui: "Grazie a Marco Mulas. Sempre presente ogni domenica, sempre vicino ai ragazzi". Sono passate due stagioni, è arrivata pure una retrocessione, ma lui è ancora lì. E anche ora, ultima di campionato - torneo di Prima Categoria 2009/2010 - Marco ripete il suo gesto, preparando le maglie biancorosse della Romangia. Che, allo stadio Madau, ospita il Berchidda.
Arrivano i giocatori, ma non arrivano tutti - a fine stagione, tra i dilettanti, c'è sempre qualche defezione - e sul referto per l'arbitro ci sono solo 14 nomi. E' allora che il presidente guarda Marco il custode e gli dice: "Tanto è l'ultima, cambiati, vai in panchina anche tu". Lui ricambia con uno sguardo stupito, poi sorride e capisce che non è vero: per una volta non vedrà la partita dalla tribuna e starà ancora più vicino ai ragazzi, ché una delle maglie che ha preparato è la sua. Ciascuno custodisce qualche sogno, con la speranza che un giorno smetta di esserlo: be', il custode Marco sente che è arrivato quel momento. Veste la divisa della Romangia e si accomoda in panca.
Accade alla mezz'ora del secondo tempo. Il Berchidda è avanti 2-0 e i suoi non vedono palla. Da cinque minuti Marco il custode non è più un panchinaro. "Entra anche tu", gli ha detto l'allenatore e l'ha spedito in campo. E adesso lui ha rimediato un pallone sulla sinistra. Stringe verso l'area avversaria, finché un avversario gli si para di fronte. Allora finge di andare sul fondo per metterla in mezzo: quello abbocca e lui rientra sul destro. Guarda la porta, prende le misure, azzarda il diagonale. Il portiere si muove ma non ci arriva e a lui non resta che guardare la palla che si struscia nella rete, sventolandola in suo onore.
In fondo è solo un gol (la partita finirà 2-2), come ce ne sono tanti, ogni domenica, dovunque. Non vale uno scudetto, una festa pazza, una stagione. Epperò è un gol da calcio nel sangue che riconcilia col pallone - in questa pessima annata, intossicata fino all'ultimo da sgherri di curva e sgarri al buonsenso - e ristora la passione. Un gol che sa ancora di pali fatti coi cappotti, di tre-angoli-un-rigore, di "siamo dispari, vuoi entrare?", di un ritorno all'abbecedario del giocare. E, come insegna Marco il custode, di "un divertirsi a guardare". Poco conta se il Romangia in Prima Categoria o la Nazionale al Mondiale.

Cesare Fiumi, Sette, 20 maggio 2010

sabato 5 giugno 2010

PARIGI E' AZZURRA: SCHIAVONE STELLARE


Come si fa a commentare una vittoria simile? Come si fa, con le lacrime che tentano di scendere, a non gioire per un trofeo così ambito? Il Roland Garros torna azzurro e questo grazie ad una fantastica Francesca Schiavone che batte una tenace Samantha Stosur. Ha saputo condurre la partita con una sicurezza e una personalità degne di una campionessa, correndo non pochi rischi che però le sono valsi punti importanti che l'hanno aiutata nei momenti più difficili. Se il primo set è stato equilibrato, il secondo è cominciato male per l'italiana, che va sotto 4 a 1 e recupera fino al 6 a 6. Va a giocare il tie break e relega la Stosur a un 7 a 2, che la consacra regina del Roland Garros.
Non può esimersi dal baciare la terra, che aveva addirittura promesso di portarsi a casa. Brava Francesca, brava perché hai conquistato un trofeo con coraggio e determinazione, sempre all'attacco e sapendo variare il gioco, brava perché hai fatto onore alla tua e alla nostra Italia, brava perché abbiamo bisogno di persone come te per rappresentare al meglio il nostro tennis. Non ci crede ancora neanche lei, non sa cosa dire dopo la premiazione perché non aveva preparato nulla, ringrazia il pubblico che l'ha sostenuta, ringrazia papà e mamma che sono a casa. Un quadro bellissimo di sport italiano.

Grazie Francesca, sei tutti noi!


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