mercoledì 2 dicembre 2009

GIUSTIZIA E POLITICA

Nella solenne aula Foscolo dell'Università di Pavia, nella serata di lunedì 30 novembre, l'associazione APURP (Associazione di Promozione Umana e Rinascita Politica) ha organizzato un incontro-dibattito sul tema Giustizia e politica nel nostro Stato di diritto. A parlare di questo delicato tema che investe tutti noi - non foss'altro che per le cronache giornalistiche che si rincorrono di giorno in giorno - è stato il professor Vittorio Grevi, ordinario di Procedura penale presso l'Università degli Studi di Pavia.



Il professore ha iniziato l'incontro delineando, specie ai profani, i lineamenti principali di ciò che è lo Stato di diritto, vale a dire uno Stato nel quale anche le istituzioni sono soggette alla legge. Rispetto al passato la differenza è evidente: se ricordiamo gli Stati assoluti dei secoli precedenti, ci viene subito in mente che il monarca concentrava in sé tutti i poteri che noi oggi conosciamo divisi - princeps legibus solutus, tanto per fare una citazione. Per far sì che tutti siano soggetti alla legge ovvero che tutti la rispettino, c'è bisogno di strumenti ed organi adatti.
E' solo con Montesquieu che si arriva alla separazione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario - che nel nostro ordinamento sono rappresentati rispettivamente dal Parlamento, dal Governo e dalla Magistratura. Quest'ultima, precisa il professor Grevi, è l'organo atto a far rispettare le leggi e ad eseguire un "controllo di legalità". Per inquadrare meglio l'argoment0, è bene far riferimento a due parole così pesanti e così importanti: eguaglianza e libertà. Il professore ricorda che Cicerone affermava che "siamo tutti sottoposti alle leggi per essere liberi" ("Legum omnes, servi sumus ut liberi esse possimus"), cioè sottostiamo alle leggi affinché esse assicurino la nostra libertà di agire e conseguentemente quella altrui. "Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge", recita la Costituzione, e pertanto, visto il tema - è giusto sottolinearlo - anche coloro che fanno politica. Questa affermazione spiega implicitamente perché la magistratura deve essere necessariamente, come è scritto in Costituzione, "autonoma e indipendente" perché solo così è possibile garantire "l'esplicazione della legalità".

Il ministro Castelli, nel 2003, aveva proposto di affiancare la frase "La giustizia è amministrata in nome del popolo" alla frase che già campeggia in tutti i tribunali "La legge è uguale per tutti". Con questa proposta egli non voleva ribadire quanto è scritto in Costituzione, ma invece suggerire che l'amministrazione della giustizia deve tenere conto delle tendenze del popolo, degli umori degli elettori, delle opinioni della maggioranza nei sondaggi; i giudici, pertanto, nell'esercizio delle loro funzioni, devono seguire la voce del popolo. Ma questo è un falso giuridico in quanto i giudici, come detto poc'anzi, sono soggetti, come tutti, alla legge e non alla sovranità popolare. Senza contare che quando il popolo ha dovuto scegliere, i risultati non sono stati certo illuminanti: partendo da Gesù e Barabba per arrivare ai tribunali del popolo della Rivoluzione francese, il popolo ha mostrato di non saper scegliere o di scegliere male. Se si accettasse l'assunto sopra esplicato, allora si può facilmente ritenere che al politico può essere concesso qualcosa in più rispetto al normale cittadino. Così non è e non deve essere: la circostanza di essere investiti di una carica pubblica non può esonerare dal rispetto delle leggi e delle responsabilità del ruolo ovvero "il voto popolare non legittima a sottrarsi al rispetto delle leggi".

Per quanto concerne i cosiddetti "reati funzionali", la nostra Costituzione prevede già uno scudo immunitario. L'articolo 68 vigente è in vigore dal 14 novembre 1993, essendo stato modificato con la legge costituzionale n. 3 del 29 ottobre 1993; il precedente prevedeva l'autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza, senza la quale il parlamentare non era processabile fino alla fine del mandato. Oggi, invece, "senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza." Seconda garanzia dei parlamentari è al primo comma dello stesso articolo 68: la garanzia dell'insindacabilità ("I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.")

Nella seconda parte della conversazione, si è entrati più nel vivo, ricordando alcuni fatti di attualità. Innanzitutto la patologia dell'incompatibilità tra mandato parlamentare e funzione difensiva, che porta inevitabilmente a pensare alla figura dell'avvocato Ghedini, parlamentare Pdl e avvocato di Berlusconi. Ricorda Grevi che l'attuale presidente del Consiglio, a differenza di Andreotti che ha tenuto un atteggiamento "irreprensibile" in quanto sottopostosi a giudizio, è stato spesso assolto o perchè i tempi di prescrizione erano scaduti o perchè alcuni reati - si veda il falso in bilancio - erano stati ridimensionati. Sono stati citati poi il Lodo Schifani, la legge Pecorella e da ultimo il Lodo Alfano: tutti provvedimenti affondati dalla Corte Costituzionale perchè presentavano vizi di fondo. Questo per denunciare che spesso sono state prodotte legge ad hoc, ma senza meditarle attentamente: tale comportamento è emblematico del particolare e complicato rapporto tra giustizia e politica.
Riguardo il processo breve, Grevi si mostra d'accordo sul proposito, ma ritiene che si debba lavorare sulla struttura e l'organizzazione della macchina della giustizia, assegnando più risorse, aumentando l'organico per permettere processi anche al pomeriggio, riducendo gli appesantimenti presenti nell'iter giudiziario.
Proprio sul rapporto giustizia-politica, il professore, su richiesta di un ragazzo presente in sala, non esita a mostrare il disaccordo sui magistrati che amano la tv, che si fanno vedere spesso sullo schermo e prendono posizioni su scelte di politica legislativa; ritiene utile, piuttosto, far parlare i propri rappresentanti, come l'Anm.

Pare un problema di difficile soluzione quello tra giustizia e politica, complicato dai fatti di cui veniamo a conoscenza tutti i giorni. E pare che nessuna delle due parti voglia seriamente risolverlo.

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